Ricordate la storia di Alessandra Gavazza? In un articolo pubblicato sul "Tirreno" la scorsa estate, intitolato Annullata l’assunzione della ricercatrice. È la moglie di un prof del dipartimento si raccontava la vicenda della candidata esclusa dalla selezione al concorso di Clinica veterinaria bandito dall'Università di Pisa. Aveva vinto al Consiglio di Stato (che aveva ribaltato la decisione del Tar) perché era stata palesemente violata la legge Gelmini contro il nepotismo. Il messaggio del massimo consesso della magistratura amministrativa al mondo accademico era stato cristallino: l’assunzione della moglie (prima convivente) di un professore di ruolo nello stesso dipartimento del coniuge va contro la legge e va dunque sanzionata.
Qualche giorno fa, con una sentenza davvero coraggiosa e di fondamentale importanza, il Consiglio di Stato è tornato sulla problematica dei rapporti di convivenza tra candidato e membro del Consiglio di Dipartimento, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 78/2019 (9 aprile), relativizzandone la portata: il coniugio e anche la "convivenza more uxorio" sono stati chiaramente considerati, in questo caso, elementi di conflitto di interesse rispetto ad una imparzialità di valutazione ad un concorso universitario.
I giudici hanno dichiarato nulli, in sede di ottemperanza, gli atti di revoca del bando del concorso universitario da ricercatore a tempo indeterminato per il settore scientifico disciplinare VET/08 “Clinica medica veterinaria”, precedentemente annullato (nel risultato stabilito dalla commissione) dallo stesso Consiglio di Stato.
Ma cosa era accaduto, dunque, dopo l'esito favorevole della sentenza amministrativa ad Alessandra Gavazza?
In sostanza, dopo l'esito del ricorso, l'Università di Pisa ha comunicato alla candidata l'avvio di un procedimento di revoca del bando di concorso motivato dall'ateneo per il fatto che il Consiglio del Dipartimento di Scienze Veterinarie aveva deliberato parere negativo circa la sussistenza di un interesse alla ripetizione della procedura di valutazione. A quel punto il rettore aveva revocato il concorso. Come dire: ok, avevamo scherzato.
La collega allora è stata costretta ad un nuovo ricorso per ottemperanza per far condannare l'Amministrazione all’adozione di un provvedimento di riconvocazione di una commissione giudicatrice di nuova composizione, nonché per la dichiarazione di estinzione del rapporto di lavoro della controinteressata, ancora in essere sulla base di provvedimenti annullati.
Il Consiglio di Stato ha ribaltato, dunque, l'annullamento del bando del concorso stabilito dall'ateneo, sulla base del principio giuridico per cui "la durata del processo (in particolare amministrativo) non deve andare a danno della parte attaccante che ha ragione atteso che, diversamente opinando, alla parte convenuta/resistente, che ha torto".
In sostanza, secondo i giudici, l'ateneo non può annullare un concorso qualora esso stesso vada in porto con un risultato ed un esito illegittimo (o magari anche predeterminato). Rilevante appare il passaggio della sentenza nel quale si legge: "né a diverse conclusioni può portare la recente sentenza della Consulta n. 78 del 2019, avente ad oggetto il rapporto di coniugio".
L'Associazione, a seguito di importanti pronunciamenti come questo, invita tutti gli iscritti e i candidati ai concorsi universitari a rivolgersi in caso di procedure viziate da irregolarità - qualora ce ne siano gli elementi - alla giustizia amministrativa, per incentivare comportamenti più corretti da parte delle commissioni e per innescare dei precedenti giuridici affinché si dia vita un percorso e ad un meccanismo di reclutamento più trasparente.
Leggi l'articolo del "Tirreno" del 11 agosto 2018
Leggi la sentenza del Consiglio di Stato del 15 luglio 2019
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