L'intervento di Giambattista Scirè* dal titolo Università: nessuno vuol fare una riforma giusta pubblicato sul "Fatto quotidiano" del 6 agosto 2022
*Amministratore e responsabile scientifico di
Trasparenza e Merito. L'Università che vogliamo
"Dimmi che idea hai dell'università e ti dirò chi sei. Peccato che, a meno di due mesi dal voto, non sia dato sapere quali siano i programmi dei partiti che si presenteranno alle prossime elezioni. In particolare sull'università.
Nessuno ha ancora messo nero su bianco cosa intenda fare su temi fondamentali come università e ricerca perché troppo impegnato a confabulare su alleanze e candidature più o meno “blindate”. In attesa della grazia di sapere, se andiamo a vedere quello che proponevano appena qualche anno fa c'è da rimanere inorriditi per l'inadeguatezza delle idee. Il Pd insieme a +Europa, ovvero l'attuale Azione, parlavano di maggiore autonomia per l'assunzione e addirittura per la retribuzione dei docenti universitari e l'istituzione di una agenzia nazionale della ricerca per coordinare le risorse. Ancora meno controlli dunque, più libertà di “delinquere” agli attuali gruppi di potere accademico, più burocrazia “bibliometrica”. La Lega, con FI e FdI, parlavano di abolire la “lotteria dei test d'ingresso” e di mantenere in Italia i nostri ricercatori, senza però dire come. La dimostrazione di una superficialità sull'argomento da lasciare esterrefatti.
D'altronde se il nostro Paese ha abbandonato da tempo i posti più alti nelle classifiche sul rapporto tra alta istruzione e progresso economico-sociale è proprio per colpa del basso valore scientifico della nostra università che poi rappresenta, plasticamente, l'infimo livello della classe dirigente-politica che in essa si forma.
Non capire che l'università, in quanto istituzione dedicata all’educazione dei giovani, assume un’importanza vitale per la competitività scientifica globale e lo sviluppo dei paesi perché limita la povertà, forma le competenze, regola le opportunità di acquisizione del sapere, incide sulla selezione della futura leadership, impattando in termini economici (sul Pil), significa non avere una prospettiva strategica di lungo periodo.
Per dare l'idea della profonda arretratezza dell'Italia rispetto ad altre nazioni sul terreno universitario bastino due esempi storici.
Nel 1918, mentre in Italia si guardava all'università come un elemento di conservazione e di supporto al sistema politico corrotto, in Argentina un manifesto per la riforma degli atenei (a Cordoba) che contestava aspramente i modelli universitari vigenti fondati sul paternalismo, sulla gerarchia e sull'oligarchia baronale (“Non possiamo lasciare il destino dell'Università alla tirannia di una setta religiosa, né al gioco di interessi egoistici di potere”) fu vergato dal movimento studentesco locale, costringendo il rettore e la politica a modificare i regolamenti in senso più democratico, con rivendicazioni che andarono oltre l'ambito accademico e implicazioni sociali che innescarono proteste anche in altri paesi dell'America Latina e poi, a seguire, in Europa.
Nel 1968, mentre in Italia le “scorribande” studentesche e la finta democratizzazione dei docenti precari si saldavano in funzione “normalizzatrice” con le tenaci resistenze conservatrici dell’Accademia, che aveva una robusta e trasversale presenza in Parlamento in tutti i partiti, dal centro a sinistra fino a destra (proprio come oggi!), dando vita a un conveniente adeguamento dei poteri accademici alla dinamica della futura società di massa, in altri paesi, come nel Nord Europa o in Gran Bretagna, se è vero che le università aprirono le porte ad un numero sempre maggiore di giovani provenienti da ogni strato sociale, lo fecero in modo strategico, razionalizzando la selezione del personale in forma meritocratica, con la possibilità di borse di studio assegnate con modalità egualitarie ai figli dei poveri e della middling sort.
Non capire che l'istanza di rinnovamento dell'università - una istituzione che è ancora oggi triste protagonista di scandali ai concorsi e sprechi di denaro pubblico - è un tema elettorale essenziale, decisivo per i cittadini e le famiglie, e quindi anche per attribuire consensi alle forze politiche che riescano a farsene interpreti positivi, significa avere una visione miope della realtà. Basterebbe conoscere un po' la storia per comprendere che un sistema universitario più equo, democratico e trasparente giova ad una maggioranza di persone (milioni) mentre da un sistema truccato, corrotto, clientelare come quello attualmente in vigore in Italia, trae vantaggio una infima minoranza di persone (qualche decina di migliaia, cioè i gruppi che lo tengono in ostaggio).
L'università, in quanto bene pubblico, rappresenta il vero motore per cambiare il futuro del Paese, per guardare al progresso e non al declino. Si tratta di un tema."
IL FATTO QUOTIDIANO © 6 agosto 2022
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