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Milano come Catania: il caso di progettazione architettonica al Politecnico

Si tratta di un caso di enorme gravità che dimostra per l’ennesima volta, casomai ce ne fosse bisogno, che le vicende emerse in più occasioni nell'ateneo catanese riflettono un malcostume più diffuso e generale dell'università italiana.

Nel 2016 il collega di "Trasparenza e Merito", dott. Andrea Bulleri, ha partecipato ad un concorso (decreto direttoriale 21/12/2015 n. 5644) per ricercatore (tipo "a") nel settore concorsuale 08/D1 – Progettazione Architettonica, presso il Politecnico di Milano. Dopo essere stato escluso dalla commissione per ragioni illegittime, il collega, che ha evidenziato in alcune diffide inviate all'ateneo come sussistessero - a suo avviso - gravi violazioni di legge, anche di rilevanza penale, ha fatto ricorso al Tar Milano.

Anche in questo caso, come ricorderete nella vicenda catanese sul posto di storia contemporanea, uno dei candidati era privo del dottorato di ricerca, e ciò nonostante al medesimo sono stati attribuiti dalla commissione 3 punti (su un massimo di 4) per tale titolo. Inoltre, se pure il curriculum inviato da uno dei due candidati poi risultati vincitori non lo evidenziasse, al medesimo la commissione ha riconosciuto il massimo punteggio per "attività di workshop". Eppure, come sa chiunque partecipi ad un pubblico concorso, qualsiasi commissione è tenuta a valutare i titoli «debitamente documentati, dei candidati». Si consideri che, ai sensi dell’art.2, comma 2, del DM 243/2011 la commissione era obbligata a valutare tale titolo giudicando «specificamente la significatività che esso assume in ordine alla qualità e quantità dell'attività di ricerca svolta dal singolo candidato»: aspetti del tutto indeterminati, invece nella valutazione non sarebbe mai stato esplicitato alcun indice di riconoscibilità dell'apporto individuale. Tutto ciò dimostrerebbe dunque come, a fronte di un curriculum incompleto, la commissione abbia ritenuto di poter integrare il giudizio con titoli nemmeno dichiarati. Oltre al caso di alcuni errori di fatto, oggettivamente ben rilevabili, come l'ammissione di pubblicazioni non producibili - prive del codice identificativo internazionale ISBN o ISSN - assegnando loro un punteggio che ha contribuito alla prevalenza del candidato vincitore.

Il TAR Milano, con sentenza del 2017, ha annullato l'intera procedura come irregolare ma ha evitato di pronunciarsi sulla condotta della commissione. Tale sentenza è stata impugnata dal Politecnico di Milano presso il Consiglio di Stato e quest’ultimo, con la recentissima sentenza del 2 luglio 2019, ha dichiarato inammissibile il ricorso in appello, ma non si è pronunciato anch'esso nel merito delle suddette questioni, riproposte dal coraggioso collega Bulleri con appello incidentale (rileviamo come i partecipanti complessivi a quel concorso fossero ben 73, dei quali alla fine solo 15 ammessi alla fase finale). In definitiva, in entrambi i gradi i due tribunali avrebbero potuto trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica di Milano, ai sensi dell’art. 331 cpc. In altri casi , come abbiamo documentato sul sito, alcuni tribunali amministrativi hanno inviato gli atti in procura per accertarne gli eventuali estremi penali.

A questo punto Bulleri ha scritto una lettera indirizzata al rettore, al responsabile del procedimento e alla responsabile della "Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza" del Politecnico, nonché per conoscenza al Ministro, al Viceministro e all'Anac, nella quale diffida l'ateneo per quanto accaduto.

Noi aggiungiamo che se nulla sarà fatto in ottemperanza delle sentenze (risulta che al momento i contratti con i due vincitori illegittimi non sia stato annullato, tanto è vero che risultano ancora in organico come ricercatori sul sito del Miur), consigliamo al collega di fare un esposto in Procura, e ci mettiamo a disposizione per appoggiare fattivamente la sua azione. Aggiungiamo che di questa vicenda sono stati messi al corrente Miur e Anac, quindi si tratta di pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni che dovrebbero, quanto meno, esercitare la funzione di controllo e di vigilanza (nel rispetto dell'autonomia) e inviare a loro volta gli atti a chi di competenza.

Il punto sul quale vogliamo richiamare l'attenzione di tutti è il seguente: la gravità di questa vicenda è che, dopo ben due sentenze amministrative che hanno dato ragione al collega, avendo le medesime evidenziato solo un vizio procedurale, potrebbe accadere che l'ateneo possa anche incaricare di procedere alla rinnovazione della valutazione addirittura la stessa commissione giudicatrice originaria (non è stato specificato nulla al riguardo in sentenza), che potrebbe confermare il precedente giudizio, con i vizi evidenziati, o commetterne altri, costringendo il candidato già vittorioso nei ricorsi a nuove estenuanti azioni amministrative (ad esempio il ricorso per l'ottemperanza del giudicato). Intanto la Corte dei Conti dovrebbe essere allertata per il possibile danno erariale.

Si tratta di un pericoloso precedente, sia per Bulleri che per altri colleghi nella medesima situazione, in grado di legittimare l’ammissione di candidati non in possesso dei requisiti di partecipazione. Ciò autorizza a trattare lui, come chiunque altro abbia avuto il coraggio di contrapporsi ad un sopruso subito durante una procedura di concorso facendo ricorso al tribunale, proprio come “stronzi da schiacciare” (per citare una delle intercettazioni dell’inchiesta catanese).

A Bulleri va il nostro incoraggiamento e appoggio. Più in generale, l'auspicio, come "Trasparenza e Merito", è che sempre più spesso, nelle sentenze amministrative - se vi sono gli estremi - si avvisino le procure competenti per verificare eventuali reati penali.

E' evidente che l'ateneo milanese debba rispettare l'esecutività delle sentenze (e noi continuiamo a martellare su questi aspetti contro qualunque ateneo), ma è altrettanto vero che: «È compito precipuo della giustizia amministrativa approntare i mezzi che consentono di ridurre la distanza che spesso si annida tra l’efficacia delle regole e l’effettività delle tutele. La tutela piena, del resto, risponde anche ad un obiettivo di efficienza complessiva del sistema, dal momento che lo sviluppo economico e sociale del Paese passa anche attraverso una risposta rapida e “conclusiva” delle ragioni di contrasto tra le Amministrazioni ed i cittadini» (vedi: Consiglio di Stato, sentenza n. 1321 / 2019).


Leggi la sentenza del Tar Milano del 22 dicembre 2017

Leggi la sentenza del Consiglio di Stato del 2 luglio 2019



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