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Montanari eletto Rettore UNISTRASI (Siena):nel programma importanti principi di Trasparenza e Merito

Aggiornamento: 16 set 2021

Tomaso Montanari, qualche tempo fa, si è iscritto a "Trasparenza e Merito", accogliendo il nostro invito di fare da "Ambassador" per portare dentro il mondo accademico e per diffondere ancor più incisivamente presso l'opinione pubblica alcuni degli importanti principi di riferimento dello statuto della nostra Associazione.

Da ieri è il nuovo Rettore dell’Università per Stranieri di Siena. Lo storico dell’arte è stato unico candidato a succedere a Castaldi ed è stato eletto al primo turno con l’87% dei voti, suscitando una enorme partecipazione al voto con una affluenza che ha raggiunto quota 90%, un risultato davvero molto alto per una comunità accademica, a dimostrazione dell'interesse della novità della sua proposta programmatica.

Interessante che, secondo il nuovo statuto dell'Ateneo, il voto sia stato espresso da professori di prima e seconda fascia, ricercatori a tempo indeterminato e determinato, docenti incaricati stabilizzati, e, in percentuale ponderata, personale tecnico-amministrativo, collaboratori esperti linguistici, docenti di lingua italiana, assegnisti, dottorandi di ricerca e tutti gli studenti iscritti.

Il professore Montanari si insedierà da Rettore il prossimo 9 ottobre e resterà in carica per sei anni, fino al 2027.

Per dare l'idea dello spessore e della novità del suo programma, pubblichiamo ampi stralci nel quale Montanari ha ripreso e sottolineato quelli che sono alcuni fondamenti cardine dell'attività svolta in questi tre anni da Trasparenza e Merito. Il modo migliore per onorare l'impegno e immortalarlo di fronte all'opinione pubblica è dare la parola direttamente a lui:


"L’idea di ‘potere’ universitario affermatasi in Italia non è lontana da quella che, negli ultimi decenni, si è stabilita in molti altri campi, a partire da quello politico-istituzionale. Nell’università italiana, poi, questo regresso globale si coniuga con la mai estinta presenza di una mentalità clanica, che vede il ‘capo’ disporre delle vite (grazie a un sistema di prolungato precariato ‘servile’) e delle coscienze (scientifiche e accademiche) dei membri del clan.

Da qui la mia prima proposta: un governo fin dall’inizio visibilmente plurale, collegiale e paritario per genere.

Per la sua capacità di insegnare perfino ai professori, santa Caterina d’Alessandria divenne nel Medioevo la patrona e il simbolo di moltissime università: da quella di Parigi a quella di Siena. Per capire quanto sia dirompente l’immagine di una ragazza che insegna ai professori, basterebbe ricordare che mille e seicento anni dopo, a Marie Curie – che aveva vinto due premi nobel in discipline diverse, fisica e chimica, cosa mai riuscita a nessun altro – mancarono i voti per entrare nell’Accademia delle Scienze di Francia. Sarebbe stata la prima donna, ma fu lasciata fuori.

L’ingresso delle donne ai livelli più alti del mondo accademico non è solo una questione di elementare giustizia e parità, ma è anche la grande occasione per abbattere le pratiche del potere accademico maschile: per esempio le contrattazioni di tipo politico-diplomatico, le divisioni in lobbies, le consorterie di ogni tipo, le trattative, gli scambi, le fazioni da corridoio, le cordate di potere. Un altro modo di essere università. Dovremmo tutti andare, a partire dai rettori, a scuola da Caterina: per bruciare sul rogo un dominio maschile che contraddice il senso stesso dell’università.

Mi rendo conto che questo linguaggio possa lasciare sconcertato chi è abituato al gergo autoreferenziale, piatto e impersonale del governo universitario.

Per parlare di università possiamo usare il gergo dell’Anvur, del Ministero, della Crui, degli esperti: un codice ristretto comprensibile solo a chi lo usa. Oppure possiamo usare un linguaggio comune, che mette in gioco l’esperienza e la vita di ciascuno di noi. Che ci interpella, ci sfida, ci provoca. Vuol dire rompere il recinto dell’autoreferenzialità accademica: l’autonomia, l’autogoverno, la sacrosanta libertà di insegnamento che è garantita dalla Costituzione non significano che l’università debba essere ombelicalmente riversa su se stessa.

Non nascondiamocelo, l’università italiana così com’è, conserva inquietanti tratti feudali: ebbene, iniziamo ad abolire tra noi ogni traccia della servitù della gleba. Nessun ricercatore, dal dottorato in su, deve essere costretto a rinunciare al tempo per la propria ricerca a favore di qualcuno più su nella gerarchia. Di questo sarò personalmente garante.

E mi impegno ad agire, nella sostanza, come se il ruolo unico della docenza (questo elementare fondamento di democrazia ed eguaglianza, che tanto tarda ad arrivare) esistesse già: restringendo al minimo possibile i privilegi castali, e allargando al massimo il peso della comunità accademica di pari (ecco uno dei primi punti di competenza della nuova delega alla democrazia universitaria).

E noi dobbiamo ricordarci che gli stakeholders (come ci insegnano a dire) dell’università sono non le imprese, o il ‘mercato del lavoro’ in cerca di capitale umano profilato a dovere: ma sono le cittadine e i cittadini della Repubblica. Prima ancora: le persone umane, perché la scuola è «aperta a tutti» (art. 34 Cost.), non solo ai cittadini.

Entro il primo anno di mandato sarà realizzato il nostro primo bilancio di genere di ateneo. Un impegno non meno cruciale è quello a non allargare, ma anzi a diminuire ulteriormente, il ricorso ai contratti, fino a farlo sparire del tutto: costruendo ancor più e ancor meglio le condizioni per un ingresso non precario nei ranghi della docenza. L’impegno, insomma, è quello di continuare a crescere: non solo nella quantità, ma soprattutto nella diversità, nella giustizia e nell’eguaglianza.

Crescere attraverso un reclutamento fondato su un rispetto estremo – non è superfluo ricordarlo – della qualità dei curricula di chi si candida, e non sulla sua provenienza, o appartenenza.

Senza studentesse e studenti non esiste università: una verità ovvia, quanto spesso trascurata dall’autogoverno dei professori. Senza studentesse e studenti felici non esiste un’università felice: il che non vuol dire prevedere la ‘soddisfazione del cliente’, ma costruire un’università delle persone, e non (solo) dei numeri.

In conclusione, vorrei lasciare la parola a chi ha saputo immaginare la più radicale delle riforme universitarie: Virginia Woolf. Augurandomi che almeno qualcosa di quell’ateneo finora utopico, eppure concretissimo nelle sue aspirazioni, possa incarnarsi nella nostra Università per Stranieri di Siena, negli anni che verranno: «Un’università sperimentale, un’università avventurosa … e poi cosa ci si dovrà insegnare? Certo non l’arte di dominare sugli altri, non l’arte di governare, di uccidere, di accumulare terra e capitale. … Ma l’arte dei rapporti umani, l’arte di comprendere la vita e la mente degli altri … lo scopo dovrebbe essere non di segregare e di specializzare, ma di integrare … scoprire da quali nuove combinazioni possono nascere unità che rendono buona la vita umana. … Fondiamola, dunque, questa università nuova: dove si impara perché è bello imparare»".


Un caro in bocca al lupo al nuovo Rettore Montanari, il primo Rettore che ha aderito agli ideali di "Trasparenza e Merito". E che questo sia di buon auspicio per il futuro (invitiamo altri Rettori a iscriversi a TRA-ME, giurando sullo statuto, ovviamente), per l'affermarsi e il diffondersi degli ideali che l'Associazione porta innanzi, per una università più democratica, più giusta, più trasparente, fondata sulla competenza e il valore della ricerca, in poche parole, per "l'università che vogliamo".


Leggi il discorso di saluto di Montanari del 8 giugno 2021

Leggi il programma di mandato Rettore UNISTRASI 2021-2027





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