Ne avevamo scritto la settimana passata sulla rubrica di "MicroMega", allertando l'opinione pubblica e lo stesso mondo accademico, a proposito della manipolazione da parte degli atenei dei regolamenti universitari, ben prima che fosse pubblicata (il 1 ottobre 2020) questa sentenza EPOCALE del Tar Cagliari.
Ebbene, il concorso per il posto di professore ordinario in Diritto Privato (settore concorsuale 11/A1, settore scientifico-disciplinare IUS/01) bandito nel 2019 dal Dipartimento di Giurisprudenza dell'ateneo di Cagliari è illegittimo. Lo ha deciso il collegio giudicante del Tar Cagliari, con una sentenza importantissima, che segna un nuovo indirizzo da parte della giustizia amministrativa in ambito di reclutamento universitario e che avrà sicuramente ripercussioni anche su altre procedure di concorso di altri settori, ben oltre l'Università di Cagliari ma anche per altri atenei.
La novità di questa sentenza, infatti, è che ad essere travolta, concettualmente, da questa sentenza non è solamente la singola procedura, ma, ab origine, le stesse regole (i regolamenti degli atenei) scelte per tutte le procedure.
Infatti, come si è detto più volte in questa sede, sul sito di "Trasparenza e Merito" e, in ultimo, in questo articolo su "MicroMega", è il sistema scelto dall'Università, secondo il Tar, a essere contro la legge, non solo il bando di concorso per il posto da ordinario di Diritto privato. Come sappiamo la legge 240/2010 impone che ogni ateneo si doti di un regolamento "generale e astratto" per la disciplina di tutti i concorsi. Invece i singoli atenei, in questo caso quello cagliaritano (ma se iniziassero ad essere avviati ricorsi e denunce su altre procedure di altri atenei se ne vedrebbero delle belle) delegano alle singole commissioni di concorso il compito di individuare le regole della loro specifica selezione, senza attenersi a determinati principi che garantiscano la trasparenza della procedura (come vuole anche la Carta europea dei diritti del ricercatore e del docente universitario), proprio a causa del mancato rispetto della legge che governa la gestione stessa dei criteri di selezione.
Perché? Semplice: in questo caso, i criteri decisi dalla commissione valutativa sarebbero stati forzati rispetto ai paletti generali per l'assegnazione del punteggio e sarebbero stati scelti dopo la prima seduta della commissione, che si è tenuta cronologicamente dopo che, chi avrebbe dovuto valutare in modo imparziale e trasparente, era già venuto a conoscenza dei nomi dei docenti che si candidavano a quel posto. In una parola, illegale.
Per l'importanza del contenuto e per l'effetto a catena che questo precedente giuridico potrà avviare è bene riportare per intero il passaggio centrale del pronunciamento del tribunale:
"La finalità della disposizione, contenuta nella riforma dell’accesso alle cattedre universitarie, è stata - dichiaratamente - quella di favorire la trasparenza e la regolarità delle procedure concorsuali di selezione del corpo docente, spesso, in passato, balzate agli onori della cronaca per vicende - anche penalmente rilevanti - concernenti il loro svolgimento.
In particolare – per quanto qui occupa - la ricordata prescrizione normativa tende a risolvere uno dei profili di maggiore criticità delle procedure concorsuali, ossia quello della fissazione di criteri oggettivi e trasparenti di valutazione dei candidati.
Con essa si è inteso, quindi, sottrarre tale incombenza alle commissioni giudicatrici affidandola - in termini generali - alla potestà regolamentare dell’Università, demandando per contro alle commissioni nominate soltanto l’attività di specificazione e dettaglio dei criteri indicati nel regolamento.
Orbene, in relazione alla citata prescrizione della legge n. 240/2010 l’art. 9 del Regolamento dell’Università di Cagliari stabilisce (...)
Nella sostanza, dunque, la disposizione regolamentare richiamata, pur finalizzata a dare attuazione alla riforma del 2010, ha mantenuto (vedi il chiaro tenore del 2° comma) la vecchia impostazione di affidare alla Commissione il compito di determinare i criteri di valutazione dei candidati, dettando soltanto, al primo comma, indicazioni di massima sui criteri di valutazione, peraltro testualmente riproduttive del dettato normativo.
Dette indicazioni di massima, peraltro, attesa la loro portata estremamente generica e priva di contenuti immediatamente applicabili, impongono necessariamente una successiva attività compilativa, affidata come detto alla commissione nominata, che non può ritenersi di mera specificazione e integrazione costituendo, piuttosto, un’attività di vera e propria determinazione dei criteri di valutazione.
Con la conseguente persistente criticità rappresentata, appunto, dall’affidare alle singole commissioni di concorso la fissazione in concreto dei criteri di valutazione dei candidati.
Vi è anche un ulteriore profilo potenzialmente idoneo ad integrare l’illegittimità paventata dal ricorrente.
Come in ogni procedura concorsuale, infatti, dopo aver esaminato l’elenco nominativo dei candidati partecipanti alla selezione, i commissari sono stati chiamati - prima del compimento di qualunque atto della procedura - a dichiarare di non avere alcun vincolo di parentela o affinità entro il 4° grado incluso con i candidati e fra loro e, inoltre, l’insussistenza di cause di astensione di cui all’art. 51 del C.P.C.
Nel momento in cui la Commissione ha provveduto a stabilire i criteri di valutazione, dunque, era già a conoscenza dei nominativi dei partecipanti alla selezione.
E’ vero, come afferma l’amministrazione, che in tale fase la Commissione si è limitata a consultare l’elenco degli ammessi inviato dal Settore Concorsi Personale Docente dell’Università e non ha anche esaminato le domande di concorso nelle quali sono riportati i titoli e le pubblicazioni dei candidati, ma in ragione del numero particolarmente esiguo dei partecipanti (cinque) e del ristretto bacino dei potenziali aspiranti al posto messo a concorso, tutti ampiamente conosciuti o conoscibili anche per la loro attività accademica e bibliografica, in una tipologia concorsuale connotata da una amplissima discrezionalità dell’attività valutativa della Commissione giudicatrice, una puntuale applicazione della legge Gelmini avrebbe scongiurato in radice i dubbi prospettati dal ricorrente in ordine ai criteri concretamente fissati dalla Commissione (...)
Quel che rileva è che la prescrizione del regolamento universitario, diversamente da quanto imposto dalla norma di riforma del procedimento concorsuale di chiamata dei professori universitari, non contiene quei necessari elementi generali di trasparenza di governo della procedura volti a limitare i pericoli di alterazione della genuinità del risultato della selezione.
In particolare tale regolamento non detta, come dovrebbe - in termini generali e astratti - i criteri di valutazione dei candidati da applicare a tutti i concorsi dell’Ateneo, suscettibili di integrazione in relazione alle specifiche procedure concorsuali da parte degli organi dei diversi dipartimenti, liberando conseguentemente da tale incombenza la commissione giudicatrice, chiamata soltanto a darne applicazione o comunque a dettare disposizione di mera specificazione o di dettaglio.
Ciò comporta, dunque, l’accoglimento dei relativi motivi di ricorso, con assorbimento di ogni ulteriore censura."
Che dire. "Chapeau" ai giudici amministrativi. Un nuovo importante segnale indirizzato al mondo accademico affinché segua le proposte e le richieste, avanzate in più occasioni in passato dalla nostra associazione, affinché gli atenei italiani si dotino di regole più chiare, trasparenti e meritocratiche in modo da avvicinarci ai sistemi, ben più avanzati, degli altri paesi europei.
Leggi il testo della sentenza integrale del Tar Cagliari del 1 ottobre 2020
Leggi l'articolo su "Unione Sarda" del 6 ottobre 2020
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